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50 imagesJasmina: la paladina dello slatko di prugne pozegaca Jasmina è la presidentessa dellʼassociazione Emina, la rappresentante ufficiale per lo slatko di prugne pozegaca, presidio Slow Food dal 2005. Lʼassociazione, composta da sole donne, è lʼunica che attualmente rispetta tutti gli standard legislativi per vendere ed esportare nei paesi UE prodotti alimentari di produzione domestica. Dragana e Ljubica: la rinascita che sa di latte (e miele) Letteralmente “škripavac” indica “uno che fa rumori striduli”, ma il nome è ormai sinonimo di questo particolare formaggio “di confine”, prodotto in unʼarea a due passi dalla Croazia. A riportare la tradizione che stava scomparendo, Dragana Brkan, che coraggiosamente riporta la famiglia nellʼarea di origine dove dopo la guerra non viveva più nessuno e che oggi ha 5 nuovi abitanti: Dragana, suo marito, e i loro tre figli. È invece grazie allʼintuito di Ljubica se oggi la famiglia Glogovac può andare fiera per il miglior “formaggio nel sacco” di Erzegovina: formaggio a latte crudo di tradizione antichissima, il formaggio nel sacco è dal 2006 un presidio Slow Food che si produce esclusivamente nella zona di Nevesinje. Mirsada: una voce per i diritti delle donne Presidentessa dellʼassociazione Goraždanke, di Goražde, dal 1997 Mirsada combatte per difendere i diritti delle donne sia in tribunale che nella vita. La sua associazione si occupa principalmente delle violenze domestiche, del traffico delle piccole schiave mandate a prostituirsi, dei matrimoni fra minori e dei giri delle elemosine. Una associazione che si autofinanzia, dando lavoro alle donne. Cantina Andelić: il vino secondo Milica Milica Andelić ha 32 anni e 4 figli, ed è la donna che in cinque anni ha portato la cantina di famiglia a diventare una delle più importanti etichette di Bosnia, avvalendosi anche della consulenza di enologi come il dott. Negro, che ha portato il loro Vranac a diventare il vino più premiato alle fiere di settore. Le storie Ma non contenta, sta ampliando il progetto della cantina sul modello delle più importanti cantine europee, puntanto sul turismo enogastronomico e quindi prevedendo spazi per visite e degustazioni e ospitalità con camere e piccolo ristorante. La sua storia è emblematica di come il ruolo delle donne sia sempre più importante e preponderante nella rinascita economica della Bosnia, soprattutto nel campo dellʼimprenditoria privata.
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33 imagesARKANSANS BEGINS 300 MT (Testi di Serena Guidobaldi) [...] Le strade nel 1993 avevano tutte uno strano nome. A deciderlo era la sicurezza della geografia militare. I convogli battevano piste di sabbia o giravano intorno a fosse scavate in quello che un tempo era asfalto, andavano lenti, superati dai fuoristrada spinti a tavoletta sui tornanti del Vran, o dellʼIgman o della Krušćica. [...] Per andare a Tuzla si partiva sulla Circle, fino a Tomislavgrad dove incominciava la Triangle, una specie di pista da sci larga e verticale sulle pendici del Vran, affacciata sulle isole del lago di Rama e su Prozor, la città-finestra. Poi la Diamond, che saliva fra i boschi costeggiando un ruscello, dalle parti della miniera di Radovan; quindi un tratto della Škoda, i tornanti fangosi della Criton che confluiva sulla Acorn poco prima di Ribnica, nella foresta; di lì la Mario e poi la Hawk a fianco della grande centrale termoelettrica, fino a Tuzla. Per Zavidovići stessa strada fino alla Škoda, poi Monk, Ruby, Lada e un tratto di Duck. [...] Luca Rastello, La Guerra in Casa Spesso in Bosnia Erzegovina, percorrendo le grandi vie di comunicazione come le stradine nelle campagne, si incontrano sotto i cartelli ufficiali della segnaletica stradale dei piccoli cartelli gialli con dei nomi che ai più non significano niente: Seagull, Dolphin, Cardinal, Poker, Leslie, Parrot, Bypass. Nomi neri su fondo giallo, insieme a frecce di direzione, o in bianco su fondo nero (più rari), a volte con altre indicazioni tipo “ends in XXX mt” o “begins in XXX mt”. Sono le indicazioni dei percorsi alternativi tracciati dall’Unprofor per permettere, durante lʼultimo conflitto, agli aiuti umanitari e ai soccorsi di raggiungere le diverse zone di guerra senza passare dalle strade ufficiali. Non erano strade segrete, esisteva anche una mappa, né i loro nomi erano nomi in codice, ma spesso solo lʼespressione dei retaggi culturali dei diversi gruppi militari dʼistanza nelle varie aree. Alcuni di questi possono essere scovati ancora oggi dipinti sulle rocce, come il diamante della Diamond. O come la Gull, poco dopo Banja Luka, e lʼabbreviazione Sqr, la Square, su un muro semicrollato poco prima di passare per Gornij Vakuf. La Bosnia Erzegovina è uno dei pochi paesi, se non lʼunico, nel quale a dispetto dei tanti anni passati, tale tipo di segnaletica è ancora frequente e ben visibile, benché solo in pochi oggi ne conoscano lʼorigine. Molte delle strade sono diventate vie di scorrimento completamente risistemate. Altre sono rimaste improbabili sentieri che attraversano boschi e aree fuori ogni rotta di normale passaggio. Ma ai cartelli non ci si fa caso e, in effetti, potrebbero voler indicare qualsiasi cosa: magari ci sono i serpenti, seguendo la Viper e la Python, o si arriva in America prendendo la Phoenix o lʼArkansas e si può cantare felici, come Dorothy nel Mago di Oz, lungo la Bluebird. E forse è un bene che ora nessuno sappia che cosa siano. Significa che non servono più.
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17 imagesE' stato arrestato in Germania Hanefija Piric, detto "Paraga", l'autore della strage lungo la Via dei Diamanti in Bosnia. Nel 1993 comandava un battaglione dell'esercito governativo e con i suoi uomini, in un'imboscata sul monte Radovan, presso Gornji Vakuf depredò un convoglio e fece uccidere i tre italiani, Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni impegnati in aiuti umanitari durante la guerra. Il 29 maggio 1993 sulla Via dei Diamanti fra Gorni Vakuf e Travnik, si scriveva una tragica pagina di storia per lʼItalia: tre dei cinque volontari italiani partiti con un convoglio umanitario venivano trucidati dalla banda del bandito Paraga. La Via dei Diamanti faceva parte dei percorsi alternativi tracciati dallʼUnprofor per permettere agli aiuti di raggiungere le diverse zone di guerra senza passare dalle strade ufficiali. Questi percorsi avevano nomi spesso evocativi, particolari, che si ispiravano a forme geometriche, fiori, animali ma anche a videogiochi, come la Pacman e la Mario.
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10 imagesIl Made in Italy di Kotor Varoš: il caso Sportek testi: Serena Guidobaldi / foto: Paolo della Corte%0DLa vicinanza allʼItalia, la manodopera altamente qualificata e ampi settori produttivi dove è possibile investire hanno reso la Bosnia il paese dove lʼItalia delle PMI sta da anni scommettendo con successo, come testimonia la case history della Sportek, filiale della DMT di Padova, che ha reso Kotor Varoš il centro più importante europeo per la produzione di scarpe sportive di alta fascia.%0DDal 1994 si stima che più di 58 imprese italiane abbiano investito in Bosnia più di 130 milioni di Euro, creando un interscambio di più di un miliardo.%0DNel 2011 Confindustria ha aperto a Sarajevo la sezione Confindustria BiH e lʼItalia è stato paese partner nella fiera dellʼimprenditoria di Mostar.%0DIn questo ambito, fra gli esempi più interessanti di imprenditoria privata cʼè la case history della Sportek di Kotor Varoš che merita una speciale attenzione non solo per i risultati ottenuti, ma per il modello di lavoro che ha portato da parte del Ministero del Lavoro e del presidente della Repubblica Srpska, riconoscimenti ufficiali allʼazienda, certificata classe A per la qualità delle condizioni lavorative dei dipendenti.%0DSportek nasce subito dopo la guerra, nellʼambito del progetto di delocalizzazione allʼestero della Diamant DMT di Padova, marchio nato nel 1978 e oggi ben noto a chi pratica ciclismo professionale.%0DDallʼimpianto iniziale, allʼinterno di una scuola di Kotor Varoš, in otto anni costruiscono il primo capannone. Oggi i capannoni sono 3 più il magazzino, e danno lavoro a quasi 1000 impiegati per il 70% donne, con un fatturato stimato in più di 5 milioni di Euro.%0DAlla Sportek vengono prodotte le calzature di alta fascia della Nike e della Diamant, mentre un intero capannone è dedicato alle Crocs, di cui la Diamant è lʼunico partner strategico in Europa.%0DEsempio di imprenditoria di successo, la Diamant (affiancata anche dalla MCipollini per la produzione di componenti e biciclette da corsa professionali) vanta il riconoscimento, da parte delle più note aziende mondiali di calzature tecniche per lo sport, quale centro di ricerca e sviluppo di scarpe da calcio e da ciclo.
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113 imagesLa Milky Way dei Balcani testi: Serena Guidobaldi / foto: Paolo della Corte È una immaginaria Via Lattea, le cui stelle più importanti si chiamano Livanjski sir, Kajmak, Sir iz Mijeeha e Skripavac, quella che si snoda lungo il profilo irregolare delle Alpi Dinariche della Bosnia Occidentale e dellʼErzegovina, collegando Livno a Trebinje. Un terroir caseario dove “il formaggio non è semplicemente formaggio” ma racconta una storia antica di popoli, tradizioni e culture, che da sempre ha per protagoniste le donne.
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60 imagesLʼospitalità in un bicchiere: la tradizione della rakija in Bosnia testi: Serena Guidobaldi / foto: Paolo della Corte Lʼequinozio dʼautunno in Bosnia si annuncia con i fili di fumo che si alzano da quasi tutte le campagne: inizia la stagione della rakija, che vede il suo momento culminante nel mese di Novembre, quando la tradizione della distillazione casalinga diventa lʼoccasione per riunirsi con amici e parenti dividendo cibo, musica e lavoro. Modalità di produzione i diversi tipi di rakija, da quella di prugna a quella di pera, di mele cotogne fino ai distillati di erbe officinali e alla loza rakija tipica della zona di Mstar e dellʼErzegovina: passo passo il metodo di distillazione in casa. La produzione casalinga, quella industriale e la commercializzazione. Le distillerie illegali, la rakija di contrabbando e i rischi di intossicazione. Significato della rakija nella società Non cʼè volta che non si sia accolti in una casa con un bicchiere di rakija, così come è intorno alla distillazione della rakija che amici e parenti si riuniscono nelle giornate di autunno, preparando salsicce, patate, ricette tradizionali e fumando. Definita “la bevanda dellʼamore e dellʼamicizia, la bevanda del bene e del male”, non cʼè festa o evento che non sia accompagnato da fiumi di rakija con la quale si aprono e chiudono tutte le giornate. Durante la guerra, la šljivovica ha assunto un significato particolare in quanto era data in dotazione ai militari serbi.
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134 imagesQuella del formaggio di Livno è forse una delle storie più belle legate ad un prodotto, che ha inizio alla fine del XIX secolo e nella quale commoventi vicende di amore e di agronomi pionieri si intrecciano sullo sfondo dei grandi eventi europei. Livno è una città della Bosnia Erzegovina occidentale attraversata dal fiume Bistrica, situata nel Livanjsko Polje, il più esteso piano carsico non solo del paese, ma del mondo. La città segna come data di fondazione ufficiale l‘892 d.C. È all’indomani del Congresso di Berlino del 1878 che Livno, diventata parte dell’Impero Austroungarico, comincia a suscitare l’interesse dell’Imperatore come avamposto per l’economia del suo territorio. Francesco Giuseppe decide di aprire lì una scuola e una stazione agricola e decide così, senza saperlo, il destino dell’agronomo francese Cyprian Jaillet, che nel 1900 dalla Lorena viene inviato a dirigerla. Erano già ottimi i formaggi che all’epoca venivano prodotti: roquefort, liptauer, trappist, resi unici dalla vegetazione di quelle montagne, dal particolare clima e dal latte della pecora autoctona Pramenka, razza pregiata anche per la lana. Ma Jaillet sperimentò altre combinazioni, e fu dalle sue mani, dalla conoscenza delle tradizioni casearie svizzere e dalla sua passione che nacque l’emmentaler dei Balcani, quello Švajcarski Sir (formaggio svizzero) che dopo la Prima Guerra Mondiale diventerà celebre come “formaggio di Livno”. Dal Monte Cincar, Jaillet portava le forme a stagionare nelle 23 grotte naturali che ancora oggi si scorgono sulla parete rocciosa del Monte Duman. Il loro microclima, infatti, sviluppava una particolare muffa che lo rendeva prelibato. Ancora oggi, la grotta più grande è conosciuta come il caseificio ed è protetta da una porta di ferro. Era una ricetta precisa, la sua, che da allora viene seguita ancora oggi e ammette poche deroghe, secondo un disciplinare che prevede una miscela di latte non pastorizzato di pecora e mucca in proporzione 80:20. Sulla collina di Gorica dove sorge il Convento Francescano con il Museo, custode di un ricchissimo patrimonio artistico ed archeologico, il vecchio cimitero del paese ospita la tomba della figlia di Jaillet, ancora oggi meta di pellegrinaggio: lì, in molti vanno a rendere omaggio alla sfortunata e bellissima fanciulla appassionata di piano e morta per amore.
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42 images9.02.1984 I giochi invernali di Sarajevo. Testo di Serena Guidobaldi C’era il mondo intero a guardare, quel 9 febbraio 1984, Jure Franko entrare con la bandiera nello stadio di Koševo. La Yugoslavia aveva da poco perso Tito e la Guerra Fredda dominava i rapporti fra USA e URSS, ma in quel momento l’attenzione era solo per quello spettacolo magnifico che stava facendo entrare Sarajevo di nuovo nella storia, e non per una vicenda politica: l’apertura dei XIV Giochi Invernali. Era la prima volta che un paese del blocco socialista ospitava un evento di quella portata, e non a caso la candidatura e assegnazione dei giochi alla capitale della Repubblica Socialista di Bosnia Erzegovina fu sostenuta fortemente anche dall’allora presidente del CIO Samaranch, che credeva molto nel messaggio di pace e fratellanza rappresentato dai cinque cerchi della bandiera olimpica in quel contesto. L’occasione per mostrare il meglio di sé per quella che già all’epoca era indicata come la capitale culturale della Federazione Jugoslava fu colta al volo, e tanto gli abitanti ne sentivano l’importanza che per ospitare le olimpiadi i cittadini stessi si autotassarono affinché tutti i lavori necessari potessero essere svolti al meglio e per tempo. Il risultato fu sotto gli occhi di tutti: lo Stadio Olimpico Koševo (dal 2006 intitolato ad Asim Ferhatović Hase) venne completamente rimesso a nuovo; sorsero i villaggi per giornalisti e per atleti di Dobrinja e Mojmilo; fu edificata la Zetra Ice Hall e ristrutturato il centro sportivo di Skenderija, piccolo gioiello architettonico della fine degli anni ’60 nato dal progetto di tre dei più illustri architetti dell’epoca fra cui Živorad Janković; nacque nello storico quartiere di Marijn Dvor l’hotel Holiday Inn; i monti Jahorina, Igman e Bjelašnica videro l’avvento delle moderne piste da sci e da salto, e il Trebević di una adrenalinica pista di bob. In strada non c’era una cartaccia, ma marciapiedi e vie pedonali erano intarsiati con il disegno del fiocco di neve ideato da Miroslav Antonić, usato come simbolo delle Olimpiadi, mentre il lupo Vučko, la mascotte creata da Jože Trobec, spuntava da ogni dove divertito, richiamando tutti a visitare quella “Sarajevoooooooo” ululata con la voce di uno dei più amati cantanti nazionali, Zdravko Čolić. Di quel 1984, a trent’anni di distanza e con molta storia in mezzo, sono rimaste parecchie tracce: ne raccontano le imprese gli impianti di nuovo agibili di Jahorina e Bjelašnica, lo ricordano allo stadio i cerchi colorati che ancora svettano nel cielo, risuona agile e lieve sulle note del Bolero che Torvill & Dean ricamarono sul ghiaccio dentro Zetra, la Olympic Hall oggi ricostruita che, dal 2010, è stata dedicata a Samaranch. L’uomo che portò i colori dello sport a Sarajevo e che, dieci anni dopo quei giochi, percorrendone le strade non seppe trattenere le lacrime.
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53 images%0DEnergie alternative, materiali ecocompatibili e una filosofia incentrata sulla sostenibilità caratterizzano questo villaggio sulle montagne a pochi km da Sarajevo, nato da due anni e forse lʼunico esempio di imprenditoria privata in Bosnia che unisce un progetto di successo ad un occhio attento alle tematiche ambientali.
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12 imagesHotel Hilton costruito nel 1984 in occasione dei Giochi Olimpici di Sarajevo si nota per la sua struttura cubica e i colori giallo brillanti. Molti lo ricordano perché una decina d'anni più tardi divenne uno dei simboli del lungo assedio di Sarajevo.
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97 imagesSARAJEVO - Gerusalemme d' Europa. Testi di Serena Guidobaldi Una città che nel suo centro ha quattro luoghi di preghiera. E' raro. Un luogo musulmano, due cristiani, uno ebraico. A un centinaio di metri uno dall'altro. Non esiste in nessuna altra parte del mondo". La citazione è dello scrittore ed accademico Predrag Matvejević, che con quelle parole in un' intervista ha descritto Sarajevo, soprannominata Gerusalemme d'Europa proprio per questa sua caratteristica che l'aveva resa simbolo della convivenza multietnica......dall'alto in effetti tutto sembra diverso: guardando in giù i tappeti della preghiera del venerdì sembrano aiuole fiorite nella Baščaršija, La Pivara, la birreria di Sarajevo con lo stesso colore della Chiesa di Sant' Antonio strappa un sorriso, La Papagajka che si affaccia sulla lamiera rovente della Sinagoga perde il volto di triste voliera per umani, le colline di fronte non sono più una minaccia per la Chiesa di San Giuseppe. SARAJEVO, EUROPEAN JERUSALEM "The city with the four houses of worship in its center. This is rare. One Muslim, two Christian, one Jewish. A hundred meters from each other. It does not exist in any other part of the world. " This is a quote from the writer and academician Predrag Matvejević, who used these words to describe Sarajevo during an interview. Sarajevo is called European Jerusalem specifically because of its features that made it a symbol of multi-ethnic coexistence [...] and looking from above makes everything seem to be different: looking down, the Friday prayer mats look like beds of blooming flowers on Baščaršija. The Brewery building, which is the same color as the church of St. Anthony, puts a smile on your face. Papagajka buliding which leans on a red-hot plate of the Synagogue loses its sad face of a big human cage, the surrounding hills are no longer a threat to the church of St. Joseph [...] text by Serena Guidobaldi
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46 imagesTransnistria, Moldavia ed il ricatto della Russia A Vilnius la Moldavia (assieme alla Georgia) si svincola dall’orbita russa avvicinandosi all’ Unione Europea con la firma di un accordo che favorisce l’integrazione economica del paese con l’ UE. La sensazione è comunque che Putin non starà a guardare e per condizionare la politica moldava giocherà un importante asso che ha nella manica: quello della Transnistria legata in doppio filo a Mosca. Chisinau potrebbe essere sottoposta nei prossimi mesi alle stesse pressioni che hanno convinto l’Ucraina a rimanere sotto l’ombrello del Cremlino. La Transnistria è una striscia di terra situata tra il fiume Nistro e l’ Ucraina. Nonostante si trovi all’interno della repubblica Moldava e non sia ancora riconosciuta internazionalmente, è uno stato di fatto indipendente che batte una propria moneta ed ha un proprio governo. Lo è dal 1992 quando si staccò dalla Moldavia dopo aver combattuto e vinto una guerra di secessione aiutata dalla 14 ma Armata Russa. E’ una delle zone calde della regione ed ospita ancora la 14 ma divisione dell’Armata Russa oltre ad essere considerato uno dei più attivi centri di contrabbando di armi e di droga al mondo. Inoltre vi passano i gasdotti russi che riforniscono la Moldavia e anche altri paesi UE in primis Romania e Ungheria e la ventilata minaccia di Putin di bloccare l’afflusso di gas è una delle armi preferite per impedire al paese di stringere accordi con Bruxelles. Visitarla è come ritornare indietro nel tempo, essendo una delle poche città a non essere cambiate dai tempi dell’ Unione Sovietica cui simboli si trovano ovunque dalla gigantesca statua in granito di Lenin che svetta imponente davanti al Palazzo del Governo al carro armato della Guardia e alla Casa dei Soviet. Qui l’economia è in mano praticamente alla Sherif una società diretta da Vladimir Smirnof figlio dell’ex presidente e i cui interessi spaziano dai supermercati ai distributori di benzina all’import di automobili di lusso.